Scena campestre, ambito dei Bassano (XVII secolo)

















in vendita
- Epoca : 17° secolo -1600
- Stile : Altri stili
- Altezza : 72cm
- Larghezza : 107cm
- Materiale : Olio su tela
- Prezzo: 6000€
- antiquario
Ars Antiqua srl - Telefono: +39 02 29529057
- Cellulare: 393664680856
- Milano,Italy
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Descrizione Dettagliata
Ambito dei Bassano, XVII secolo
Scena campestre o Allegoria della primavera
Olio su tela, cm 72 x 107, con cornice cm 88,5 x 122,2
La presente composizione deriva da un indubbio prototipo di Jacopo da Ponte detto Bassano (1515 ca. 1592), come dimostrato da un’incisione di Raphael Sadeler il Vecchio (1560 ca. 1632) su invenzione del veneto; Raphael e Jan Sadeler incisero tra il 1599 e il 1600 una serie di quattro bulini dedicati al tema delle quattro stagioni, traendo materiale da modelli bassaneschi ancora non individuati con certezza. Una seconda incisione, indicata come tratta da prototipo di Jacopo, eseguita a bulino, è oggi custodita presso il complesso della Certosa e Museo Nazionale di San Martino di Napoli. Le particolari caratteristiche stilistiche del presente consentono di ipotizzare l’esecuzione da parte di uno stretto seguace della bottega, verosimilmente di Jacopo per i motivi sopraddetti. La tela consente di ammirare la pratica produttiva della bottega dei Bassano, sapientemente dedita all’utilizzo di cartoni che consentivano di assemblare variamente ricorrenti moduli figurativi; le composizioni differivano così di leggere varianti, prova dell’enorme fortuna critica conosciuta dalla firma dei Bassano. Esemplificativa a questo proposito risulta la tela oggi custodita presso la Galleria Borghese di Roma (La Primavera), attribuita a Jacopo, raffigurante eguale figura femminile, alla presente, di spalle che volge lo sguardo altrove.
Jacopo e famiglia furono concordemente noti come “Bassano” dal nome della città d’origine; la denominazione venne fissata dalla critica artistica, tra cui Ridolfi, Volpato, Verci, Lanzi; anche “Da Ponte” derivava, per una certa misura dalla toponomastica, essendo il nonno paterno Jacopo di Berto conciatore presso il ponte cittadino. La bottega dei Bassano fu un’impresa aziendale ante litteram, a conduzione famigliare, attiva per circa un secolo e mezzo. Principiata da Francesco il Vecchio, nei primissimi anni del Cinquecento, raggiunse granitico apprezzamento dall’interezza del nord Italia con la personalità suddetta di Jacopo, a partire dalla seconda metà del quarto decennio, e dai fratelli di questi Giambattista e Gianfrancesco, pure non artisti trainanti tanto quanto lui. Jacopo consentì la svolta: mandato dal padre a studiare a Venezia, qui fu accolto sotto l’ala protettrice di Bonifacio de’ Pitati, ammirando le opere di Tiziano, Pordenone e degli incisori nordici. Tornò a Bassano nel 1540, e raccolse l’eredità della bottega a piene mani, circondandosi di allievi. Dopo di lui, saranno i figli Francesco il Giovane, Giambattista, Leandro e Gerolamo a farsi interpreti della tradizione famigliare.
Jacopo è considerato da parte della critica un artista di nuova epoca, consapevole del proprio ruolo imprenditoriale, come provato da un brevetto ottenuto da parte del Senato veneziano, nel 1535, per un «nuovo inzegno et modo... di far molini, siege, condur, alzar acque, seccar paludi...», attestantene lo spirito curioso e recettore. L’artista trasse inoltre nuovi spunti, a partire dagli anni Quaranta, dalla pittura romana prima e da quella emiliana poi, filtrandole attraverso il pragmatismo coloristico di Tiziano, Pordenone, Lotto, Romanino e del Moretto, portati in laguna, quando non direttamente presenti, dal Salviati e dallo Schiavone. L’assidua richiesta di opere pittoriche della bottega bassanesca, inno alla storia rurale e pastorale, è stata posta in relazione con l’operato di alcuni nobili illuminati, ad esempio, Alvise Cornaro, che sostennero la rivoluzione agricola. Erano gli anni di una rinnovata e moderna concezione dell’agricoltura, considerata mezzo ideologico per raggiungere il progresso; la concomitante rivalutazione più che positiva del panorama pastorale potrebbe insomma aver sospinto i committenti italiani a richiedere opere pittoriche che incarnassero davvero l’essenza stessa della vita rurale di campagna, come soltanto i Bassano sapevano fare.
Con Ars Antiqua è possibile dilazionare tutti gli importi fino a € 5.000 a TASSO ZERO, per un totale di 12 RATE.
Es. Tot. € 4.500 = Rata mensile € 375 per 12 mesi.
Es. Tot. € 3.600 = Rata mensile € 720 per 5 mesi.
Per importi superiori a € 5.000 o per una maggiore dilazione nel tempo (oltre 12 rate), possiamo fornire un pagamento personalizzato.
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Scena campestre o Allegoria della primavera
Olio su tela, cm 72 x 107, con cornice cm 88,5 x 122,2
La presente composizione deriva da un indubbio prototipo di Jacopo da Ponte detto Bassano (1515 ca. 1592), come dimostrato da un’incisione di Raphael Sadeler il Vecchio (1560 ca. 1632) su invenzione del veneto; Raphael e Jan Sadeler incisero tra il 1599 e il 1600 una serie di quattro bulini dedicati al tema delle quattro stagioni, traendo materiale da modelli bassaneschi ancora non individuati con certezza. Una seconda incisione, indicata come tratta da prototipo di Jacopo, eseguita a bulino, è oggi custodita presso il complesso della Certosa e Museo Nazionale di San Martino di Napoli. Le particolari caratteristiche stilistiche del presente consentono di ipotizzare l’esecuzione da parte di uno stretto seguace della bottega, verosimilmente di Jacopo per i motivi sopraddetti. La tela consente di ammirare la pratica produttiva della bottega dei Bassano, sapientemente dedita all’utilizzo di cartoni che consentivano di assemblare variamente ricorrenti moduli figurativi; le composizioni differivano così di leggere varianti, prova dell’enorme fortuna critica conosciuta dalla firma dei Bassano. Esemplificativa a questo proposito risulta la tela oggi custodita presso la Galleria Borghese di Roma (La Primavera), attribuita a Jacopo, raffigurante eguale figura femminile, alla presente, di spalle che volge lo sguardo altrove.
Jacopo e famiglia furono concordemente noti come “Bassano” dal nome della città d’origine; la denominazione venne fissata dalla critica artistica, tra cui Ridolfi, Volpato, Verci, Lanzi; anche “Da Ponte” derivava, per una certa misura dalla toponomastica, essendo il nonno paterno Jacopo di Berto conciatore presso il ponte cittadino. La bottega dei Bassano fu un’impresa aziendale ante litteram, a conduzione famigliare, attiva per circa un secolo e mezzo. Principiata da Francesco il Vecchio, nei primissimi anni del Cinquecento, raggiunse granitico apprezzamento dall’interezza del nord Italia con la personalità suddetta di Jacopo, a partire dalla seconda metà del quarto decennio, e dai fratelli di questi Giambattista e Gianfrancesco, pure non artisti trainanti tanto quanto lui. Jacopo consentì la svolta: mandato dal padre a studiare a Venezia, qui fu accolto sotto l’ala protettrice di Bonifacio de’ Pitati, ammirando le opere di Tiziano, Pordenone e degli incisori nordici. Tornò a Bassano nel 1540, e raccolse l’eredità della bottega a piene mani, circondandosi di allievi. Dopo di lui, saranno i figli Francesco il Giovane, Giambattista, Leandro e Gerolamo a farsi interpreti della tradizione famigliare.
Jacopo è considerato da parte della critica un artista di nuova epoca, consapevole del proprio ruolo imprenditoriale, come provato da un brevetto ottenuto da parte del Senato veneziano, nel 1535, per un «nuovo inzegno et modo... di far molini, siege, condur, alzar acque, seccar paludi...», attestantene lo spirito curioso e recettore. L’artista trasse inoltre nuovi spunti, a partire dagli anni Quaranta, dalla pittura romana prima e da quella emiliana poi, filtrandole attraverso il pragmatismo coloristico di Tiziano, Pordenone, Lotto, Romanino e del Moretto, portati in laguna, quando non direttamente presenti, dal Salviati e dallo Schiavone. L’assidua richiesta di opere pittoriche della bottega bassanesca, inno alla storia rurale e pastorale, è stata posta in relazione con l’operato di alcuni nobili illuminati, ad esempio, Alvise Cornaro, che sostennero la rivoluzione agricola. Erano gli anni di una rinnovata e moderna concezione dell’agricoltura, considerata mezzo ideologico per raggiungere il progresso; la concomitante rivalutazione più che positiva del panorama pastorale potrebbe insomma aver sospinto i committenti italiani a richiedere opere pittoriche che incarnassero davvero l’essenza stessa della vita rurale di campagna, come soltanto i Bassano sapevano fare.
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