Vittoria alata, XIX, Napoleone III




















in vendita
- Epoca : 19° secolo - 1800
- Stile : Napoleone III
- Altezza : 91cm
- Larghezza : 49cm
- Profondità : 39cm
- Materiale : Bronzo
- Prezzo: 3600€
- antiquario
Ars Antiqua srl - Telefono: +39 02 29529057
- Cellulare: 393664680856
- Milano,Italy
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Descrizione Dettagliata
XIX secolo
Vittoria alata
Bronzo dorato, alt. cm 91 - Base 49 x 39
L’equilibrio in cui sosta questa vittoria alata, erta sulla sola caviglia sinistra, maschera la solidità del bronzo. L’intera scultura vibra di linee di forza opposte che dispongono arditi slanci plastici, con un conseguente effetto di esuberante animazione. La Vittoria, ad ali pienamente spalancate, cavalca il vento mentre regge fermamente una corona d’alloro, chiaro simbolo di trionfo. A differenza della Giustizia, sempre stante sulle due gambe, la Vittoria poggia un unico piede, variamente in equilibrio su di un globo, simboleggiante da un lato il transitorio volo, dall’altro l’autorità universale di cui gode. Nella presente scultura si preferisce una colonnina dal decoro vegetale, modulata come se fosse una torcia accesa, ulteriore simbolo della forza dirompente che accompagna la vittoria.
La base su cui si innalza la Vittoria, figurata similmente ad un ampio e scavato vaso antico, presenta quali anse una coppia di leonesse con una speculare decorazione a giglio sulla schiena; due protomi umane, dall’espressione grifagna, segnalano le altre parti della bocca del vaso. Sul collo della base emergono delle teste leonine, inghiottite da un’ornamentazione vegetale, che ricorre pure sul piede del vaso.
Fatta eccezione che per pochissime eccezioni, l’iconografia della Vittoria alata, nel presente esempio perfettamente rispettata, deriva da un unico modello tramandato nel corso dei millenni, oggi perduto. Realizzata in bronzo dorato, questa Vittoria-modello era stata fusa dai Tarantini nel 280 a.C. per celebrare la rivalsa sui Romani a Eraclea; venne trafugata dagli stessi Romani nel 272 a.C. durante le guerre pirriche, e nel 29 a.C. collocata da Ottaviano Augusto su un’ara posta nella Curia Iulia, la sede del Senato inaugurata da Giulio Cesare all’interno del Foro. La Vittoria tarantina venne distrutta nel 402 d.C. per motivi religiosi, in quanto dal 395 il Cristianesimo era diventato de iure credo ufficiale dell’Impero e l’imperatore Teodosio non aveva intenzione di risparmiare alcuna deroga pagana. Monete e riproduzioni scultoree ne serbarono però la memoria: di vitale importanza fu la copia romana di età imperiale rinvenuta durante gli scavi di Pompei, la più antica esistente, oggi conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. A questa si rifecero tutte le copie successive, compreso il presente bronzo e le posteriori Vittorie del monumento in onore a Vittorio Emanuele II a Roma. Il monumento venne rinominato immediatamente Vittoriano per garantire il rimando a queste sculture, realizzate dagli artisti Nicola Cantalamessa Papotti (Vittoria con palma e serpente), Adolfo Apolloni (con spada), Mario Rutelli e Arnaldo Zocchi (entrambe con corona d’alloro). La Vittoria alata, un tempo secolare metafora della supremazia di Roma, assurse così a emblema della pace universale dei popoli.
Vittoria alata
Bronzo dorato, alt. cm 91 - Base 49 x 39
L’equilibrio in cui sosta questa vittoria alata, erta sulla sola caviglia sinistra, maschera la solidità del bronzo. L’intera scultura vibra di linee di forza opposte che dispongono arditi slanci plastici, con un conseguente effetto di esuberante animazione. La Vittoria, ad ali pienamente spalancate, cavalca il vento mentre regge fermamente una corona d’alloro, chiaro simbolo di trionfo. A differenza della Giustizia, sempre stante sulle due gambe, la Vittoria poggia un unico piede, variamente in equilibrio su di un globo, simboleggiante da un lato il transitorio volo, dall’altro l’autorità universale di cui gode. Nella presente scultura si preferisce una colonnina dal decoro vegetale, modulata come se fosse una torcia accesa, ulteriore simbolo della forza dirompente che accompagna la vittoria.
La base su cui si innalza la Vittoria, figurata similmente ad un ampio e scavato vaso antico, presenta quali anse una coppia di leonesse con una speculare decorazione a giglio sulla schiena; due protomi umane, dall’espressione grifagna, segnalano le altre parti della bocca del vaso. Sul collo della base emergono delle teste leonine, inghiottite da un’ornamentazione vegetale, che ricorre pure sul piede del vaso.
Fatta eccezione che per pochissime eccezioni, l’iconografia della Vittoria alata, nel presente esempio perfettamente rispettata, deriva da un unico modello tramandato nel corso dei millenni, oggi perduto. Realizzata in bronzo dorato, questa Vittoria-modello era stata fusa dai Tarantini nel 280 a.C. per celebrare la rivalsa sui Romani a Eraclea; venne trafugata dagli stessi Romani nel 272 a.C. durante le guerre pirriche, e nel 29 a.C. collocata da Ottaviano Augusto su un’ara posta nella Curia Iulia, la sede del Senato inaugurata da Giulio Cesare all’interno del Foro. La Vittoria tarantina venne distrutta nel 402 d.C. per motivi religiosi, in quanto dal 395 il Cristianesimo era diventato de iure credo ufficiale dell’Impero e l’imperatore Teodosio non aveva intenzione di risparmiare alcuna deroga pagana. Monete e riproduzioni scultoree ne serbarono però la memoria: di vitale importanza fu la copia romana di età imperiale rinvenuta durante gli scavi di Pompei, la più antica esistente, oggi conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. A questa si rifecero tutte le copie successive, compreso il presente bronzo e le posteriori Vittorie del monumento in onore a Vittorio Emanuele II a Roma. Il monumento venne rinominato immediatamente Vittoriano per garantire il rimando a queste sculture, realizzate dagli artisti Nicola Cantalamessa Papotti (Vittoria con palma e serpente), Adolfo Apolloni (con spada), Mario Rutelli e Arnaldo Zocchi (entrambe con corona d’alloro). La Vittoria alata, un tempo secolare metafora della supremazia di Roma, assurse così a emblema della pace universale dei popoli.